Corso Italia © Facebook
Uno scempio. Una ferita aperta nel cuore di Firenze. Così viene definito quell’orrendo scatolone nero che svetta nello skyline di Corso Italia, proprio dove un tempo sorgeva il Teatro Comunale.
Al posto della cultura, oggi abbiamo un monumento al cattivo gusto, partorito dalla cosiddetta “rigenerazione urbana” firmata Hines – colosso internazionale degli studentati – che però di vero studentato ha ben poco.
Un progetto, sottolineano da Palazzo Vecchio, “regolarmente autorizzato e corredato da tutti i pareri positivi”: Soprintendenza, Regione, Commissione Paesaggistica. Tutti hanno detto sì. E il risultato? Una torre squadrata, nera e bianca, che sembra atterrata da un videogioco di architettura degli anni ’80, completamente avulsa dal contesto ottocentesco elegante e armonico di Porta al Prato.
Altro che studentato: sarà un hotel extralusso con appartamenti. Una speculazione in grande stile, mascherata da rigenerazione urbana. E intanto Firenze si ritrova con un pugno nell’occhio visibile da ogni angolo della città.
Il punto non è solo la bruttezza (quella si vede da sola), ma il come: chi ha permesso che un simile obbrobrio sorgesse proprio lì? E soprattutto: con quale coraggio, visto che l’area è sotto vincolo paesaggistico delle “rive dell’Arno”, stabilito da un decreto ministeriale del 1953?
Palazzo Vecchio si difende: “I vincoli sono stati rispettati, compreso quello delle rive dell’Arno. Sul caso dell’ex Teatro Comunale è stata convocata la Commissione Paesaggistica con Regione, Soprintendenza e Comune. Tutti i pareri sono stati favorevoli”. Insomma, formalmente tutto in regola. Ma il risultato resta: una colata di cemento nera e anonima che ha sfigurato il panorama fiorentino.
La colpa? Rimbalza come in una partita di ping pong tra Comune, Regione e Soprintendenza. Lo scaricabarile è servito, ma l’orrore architettonico resta. E i cittadini? Non possono far altro che tenerselo.
Sulla questione interviene Eike Schmidt, consigliere comunale ed ex direttore degli Uffizi, uno che di bellezza – almeno sulla carta – dovrebbe intendersene:
“Quel brutto blocco nero, che non è spuntato a caso ma è l’esito di una trasformazione urbanistica sulla quale l’amministrazione avrebbe dovuto vigilare e fare eccezioni, rappresenta una ferita aperta e sanguinante nel tessuto urbano. Preoccupa la cedevolezza agli interessi privati, preoccupa molto che nessuno abbia sollevato dubbi o fatto rilievi quantomai opportuni, al netto della correttezza sul piano formale e burocratico. Alla luce di tutto ciò, la nostra lista civica sta valutando di presentare un esposto all’Unesco a Parigi, coinvolgendo tutte le personalità che provano orrore per questa trasformazione. Ci sono città – è il caso di Dresda, la ‘Firenze del Nord’ – che hanno perso la designazione di patrimonio mondiale Unesco per colpa di una singola costruzione nuova”.
Ed ecco il rischio: che Firenze, capitale mondiale della bellezza, si veda cancellare dall’Unesco… per uno scatolone nero. Un triste monumento all’incompetenza e all’arrendevolezza politica.


