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Perché Salvatore Vinci non era il Mostro di Firenze

Una ricostruzione critica che smonta quarant’anni di sospetti sulla figura di Vinci

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Vinci non è il mostro di firenze Vinci non è il mostro di firenze © okmugello
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di Paolo Cochi: Nelle storie nere che attraversano l’Italia del dopoguerra, certi nomi rimangono appesi come grumi di ombra. Quello di Salvatore Vinci è stato uno di questi: un nome che torna sempre, come una nota stonata, quando si parla del Mostro di Firenze. Ogni volta che un fascicolo veniva riaperto, che un testimone riaffiorava, che un giornale dedicava una nuova pagina al caso, ecco che Vinci spuntava di nuovo, trascinando con sé il suo passato ingombrante. Ma più si cerca di sovrapporre la sua figura a quella dell’assassino delle campagne toscane, più le due immagini si respingono, come magneti dai poli opposti.

Per quasi mezzo secolo il nome di Salvatore Vinci è rimasto impigliato nel labirinto del caso giudiziario più oscuro della storia italiana: i delitti delle coppiette attribuiti al cosiddetto Mostro di Firenze. Indagato, sollevato, nuovamente sfiorato dai sospetti, Vinci è diventato per molti un’ombra costante sullo sfondo dell’inchiesta. Eppure, oggi una lettura più fredda e documentata della sua biografia e della sua psicologia sembra restituire un quadro decisamente diverso da quello sedimentato nell’immaginario pubblico.

Non si tratta di riabilitazioni né di revisionismi a posteriori, ma dell’esame rigoroso di un dato troppo spesso ignorato: la personalità e le dinamiche di vita di Salvatore Vinci risultano, a conti fatti, incompatibili con il profilo del Mostro.

Un uomo dentro la violenza familiare, ma lontano dalla ritualità del serial killer

Vinci nasce e cresce nella Sardegna rurale del dopoguerra, in un ambiente segnato da miseria, conflitti familiari e relazioni improntate al dominio maschile. La violenza esiste, eccome. Ma è la stessa che attraversa molte famiglie dell’Italia povera del secondo Novecento: brutale, immediata, visibile.

Ben diversa dalla violenza rituale, metodica, anonima che caratterizza i delitti del Mostro, un assassino che non uccide per ragioni relazionali, ma per un impulso personale e solitario.

Sessualità pubblica, di gruppo, e orientata alla dominazione: il contrario del Mostro

Le testimonianze sulla vita privata di Vinci raccontano una sessualità sfacciata, collettiva, costruita sul potere più che sul desiderio. Rapporti a tre, scambi, triangolazioni, voyeurismo quasi teatrale: un universo in cui il sesso serve a confermare il proprio ruolo dominante, non a nascondere frustrazioni o impulsi devianti.

Il Mostro di Firenze appartiene invece a una dimensione opposta:
un mondo di pulsioni represse, disfunzionali, solitarie, legate a rituali e ossessioni.

Laddove Vinci esibisce, il Mostro occulta.
Laddove Vinci coinvolge, il Mostro elimina.
Laddove Vinci domina persone reali, il Mostro inscena un dramma privato su vittime sconosciute.

Violenza relazionale, non predatoria

Nelle vicende giudiziarie e personali di Vinci, la violenza ha sempre una direzione chiara: è rivolta verso persone che fanno parte del suo orizzonte sentimentale o familiare. È una violenza calda, impulsiva, dettata da gelosie, conflitti, fallimenti affettivi.

Il Mostro opera invece nel gelo della distanza: attende, osserva, seleziona. Colpisce coppiette anonime senza alcun legame personale, in luoghi appartati e in condizioni di totale controllo.

Si tratta di due logiche opposte: una emotiva e reattiva, l’altra fredda, pianificata e ritualizzata.

L’errore prospettico sulla “coppia” come bersaglio

Una parte dell’interpretazione investigativa ha cercato di leggere nella vita di Vinci una sorta di fissazione verso la coppia, come se ogni suo fallimento sentimentale potesse trasformarsi in una vendetta simbolica contro giovani fidanzati appartati.

L’esame dei fatti mostra però tutt’altro:
Vinci usa la coppia come strumento di controllo, non come nemico. Le sue dinamiche erotiche e manipolatorie coinvolgono persone note, con cui instaura rapporti di forza reali. Non esistono episodi in cui Vinci manifesti interesse, rancore o ossessione verso coppie sconosciute.

Nessun parallelismo con il modus operandi del Mostro, che della coppia fa il fulcro della propria ritualità omicida.

Un voyeurismo che non è quello del predatore

Anche l’elemento voyeuristico, spesso evocato per avvicinare Vinci all’ombra del serial killer, merita una rilettura.

Quando Vinci osserva dall’alto le coppiette appartate, non lo fa per scoprirne abitudini o per preparare un’aggressione. Il suo è un voyeurismo di scena, quasi narcisistico, dove la posizione sopraelevata assume un significato simbolico di controllo, non di predazione.

Il Mostro, invece, osserva da cacciatore: invisibile, silente, solitario.

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