Il mostro su Netflix © nc
È arrivata su Netflix Il Mostro, la serie che ambisce a raccontare una delle pagine più oscure della cronaca nera italiana. Ma bastano pochi minuti per capire che la promessa non è stata mantenuta. C’è lentezza e lentezza, nella narrazione audiovisiva: quella che costruisce tensione, e quella che la spegne, trascinandoti in un mare di dialoghi forzati e scelte discutibili. Il Mostro appartiene purtroppo alla seconda categoria — e, peggio ancora, si prende libertà che sconfinano nella riscrittura dei fatti.
Già nelle prime battute, un errore macroscopico: si parla di “femminicidi”, quando le vittime furono in realtà coppie. Si introduce una “Dottoressa” a capo delle indagini — un personaggio che nella realtà non è mai esistita in quella veste — mentre chi davvero coordinava le inchieste, il magistrato Pier Luigi Vigna, scompare dal racconto. Un’anacronistica crociata femminista in un’Italia che all’epoca tollerava ancora il delitto d’onore: scelta tanto ideologica quanto falsa.
La “pista sarda”: una verità comoda ma sbagliata
Il disclaimer iniziale parla di “ricostruzione basata su atti e indagini”. Peccato che molti di quegli atti, a quanto pare, non siano mai stati letti — o siano stati ignorati di proposito. La serie abbraccia in toto la “pista sarda” e costruisce la trama intorno alla figura di Salvatore Vinci, collocandolo addirittura sulla scena del delitto del 1968. Peccato che Vinci, la sera del delitto di Vicchio 1984, avesse un alibi solido. E che suo fratello Francesco fosse in carcere durante gli omicidi del 1983 e 1984, mentre il Mostro colpiva ancora. Ma nella fiction la matematica non conta: basta una teoria, meglio se sceneggiabile.
Quando la fiction riscrive i verbali
Galleria fotografica
I documenti veri raccontano tutt’altro. Il famigerato “straccio” trovato a casa di Vinci non conteneva sangue compatibile con le vittime, né residui di polvere da sparo riconducibili ai proiettili Winchester. Gli atti dei Carabinieri attestano che il bambino presente sulla scena aveva camminato da solo, non era stato trasportato da nessuno: un dettaglio cancellato nella serie.
E la ricostruzione del delitto del 1968?
Stravolta. La serie mostra la donna colpita da destra, mentre l’autopsia certifica che fu colpita da sinistra. La differenza tra “ispirato a una storia vera” e “inventato di sana pianta” non è più una sfumatura: è una voragine.
Un racconto che smarrisce il Mostro
A un certo punto, tra flashback, nomi non detti e salti temporali, il vero “Mostro” - quello di Firenze - sparisce. Rimangono frammenti: un’estetica curata, dialoghi artificiosi e riferimenti pop piazzati a caso (come la citazione da Blade Runner, completamente inventata).
La serie evita accuratamente di toccare i punti oscuri, preferendo una teoria di comodo, già screditata da decenni di indagini e processi.
Una narrazione che offende la memoria
Il risultato è una produzione visivamente impeccabile ma intellettualmente disonesta. Nel 2025, con decine di libri, atti pubblici e documenti processuali a disposizione, raccontare ancora il Mostro di Firenze ignorando la verità non è solo superficialità: è una scelta precisa. E una scelta che pesa, soprattutto per chi ha perso un figlio, un fratello, una persona amata in quella scia di sangue.
Da ex consulente di parte civile in alcune delle indagini, e autore del libro "Al di là di ogni ragionevole dubbio" (2020), ho letto e studiato ogni pagina degli atti. È evidente che Il Mostro non restituisce la complessità dei fatti, ma un racconto “comodo”, piegato alle esigenze dello streaming. Avrebbero potuto chiamarla "La pista sarda" — almeno sarebbe stato onesto. Invece hanno scelto, ancora una volta, di fare spettacolo. E nel farlo, hanno ucciso di nuovo la verità.
Paolo Cochi
Ex consulente di parte civile nel caso del Mostro di Firenze
Autore del libro “Al di là di ogni ragionevole dubbio” (2020) e documentari di inchiesta.


