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Cocchi, Luchi e Lotti, cronaca dell'incontro. Assenti PD e Amministrazione.

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Cocchi, Luchi e Lotti, cronaca dell'incontro. Assenti PD e Amministrazione. Cocchi, Luchi e Lotti, cronaca dell'incontro. Assenti PD e Amministrazione. © n.c.
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Il resoconto dell'incontro tanto atteso dalla cittadinanza di Barberino per conoscere dai diretti interessati gli aspetti della vicenda che ha visto protagonisti gli ex-amministratori Cocchi, Luchi e Lotti. Il tutto raccontato esaurientemente da Paolo Menchetti (amico e compagno politico dei protagonisti), presente alla serata alla quale hanno partecipato circa 100 persone.

Si è tenuto nel Centro Civico di Barberino l'atteso incontro tra gli ex-amministratori del paese: Paolo Cocchi, Alberto Lotti e Gian Piero Luchi, ed i cittadini, dopo la conclusione recente del processo che li ha visti coinvolti. L'incontro aveva due temi strettamente intrecciati: la valutazione dell'attività politica ed amministrativa nel lungo percorso di venti anni, attraverso due Giunte, sulla cui trasparenza e correttezza la Procura di Firenze aveva sollevato pesanti dubbi, e più in generale una riflessione sulla Giustizia in Italia, sul rapporto che lega quest'ultima con la politica e l'informazione e sul modo nel quale il tutto viene recepito dai cittadini. Nel comunicato stampa di presentazione dell'incontro i proponenti scrivevano:

"Agli inizi del 2010 un’inchiesta avviata dalla Procura fiorentina gettava gravi ombre sulla gestione della cosa pubblica a Barberino nei precedenti venti anni. Un’intera classe dirigente fu liquidata. Oggi i protagonisti di quella storia propongono di parlarne con i propri concittadini. Vorrebbero che la verità fosse ristabilita anche nel dibattito pubblico e che il futuro della nostra comunità poggiasse sul superamento critico del passato e non sulla sua falsificazione."

E' proprio in quel riferimento ad un "dibattito pubblico", fino a ieri sera mancato, che si può leggere in controluce un altro motivo che forse ha consigliato l'incontro:  rispondere al silenzio proveniente dal Partito Democratico, sia di Barberino che della zona Mugello (con rarissime eccezioni personali) nonché dall'Amministrazione di Barberino, proprio in merito a quell'inchiesta, recentemente conclusa con la totale assoluzione dell'ex Sindaco e Assessore regionale Paolo Cocchi, e con la prescrizione per gli altri imputati, tra cui l'ex Sindaco Gian Piero Luchi e l'ex Assessore Alberto Lotti (prescrizione da essi mal digerita, come testimonia un recente comunicato di Luchi) dopo ben otto anni, tra inchieste e processo. Alla fine sono stati proprio i tre ex-amministratori ad organizzare l'incontro, una volta compreso come non ci fosse nessuna volontà di aprire una discussione nel merito della conclusione di quel processo, nonostante l'attuale Partito Democratico e l'Amministrazione che guida il paese, siano la naturale evoluzione e sbocco di quella stagione politico- amministrativa. E che questo fosse un tema sentito, lo si è visto anche dagli interventi del pubblico, all'apertura del dibattito, quando più persone hanno fatto rilevare, e condannato, la totale mancanza di esponenti del Pd e dell'Amministrazione.

Gian Piero Luchi ha riepilogato l'inizio dell'inchiesta, richiamandone le date e le varie fasi, ricordando come la sua genesi fosse legata alla costruzione del nuovo casello autostradale, ed ai sospetti che si generarono, da parte degli interessi economici in quell'area, per un favoritismo all'Outlet, che Luchi ha respinto nettamente, ricordando come il progetto dello spostamento del casello fosse legato alla variante di valico, cioè alla fine degli anni '80, ben prima quindi che lo stesso Outlet fosse nei pensieri della società che poi lo avrebbe realizzato, la Rifle. Luchi ha poi continuato la sua ricognizione facendo rilevare come anche l'altra inchiesta che lo riguardava, in merito alla variante di Sottocastello, dove lui era accusato di aver favorito il fratello, fosse in realtà stata prevista nella legislatura precedente, e come durante le 9 volte nelle quali essa fu portata in Consiglio Comunale, lui fosse sempre assente. L'ex-sindaco osserva infine come egli sia orgoglioso di aver lavorato in un momento storico pieno di situazioni difficili da risolvere, con la Variante di valico, la gestione dell'invaso del Bilancino, la terza corsia autostradale e con tutti i connessi problemi di gestione sul territorio, ma anche di possibilità che le sue due Amministrazioni accettarono e si accollarono di portare avanti, sempre nell'interesse dei cittadini, come anche la conclusione del processo ha dovuto alla fine rilevare, nonostante le indagini approfondite e le ingenti spese sostenute da parte della pubblica accusa. L'archiviazione, per lui e Lotti, è stata richiesta proprio dallo stesso PM che aveva respinto la prima assoluzione, non riuscendo a portare al processo successivo nuovi elementi probatori.

Anche Alberto Lotti richiama con forza il periodo storico che lo vide protagonista, per ben 25 anni, e costretto a scelte derivate da esigenze non solo locali. Ricorda che il Comune di Barberino, fino al 1995, non aveva un Piano Regolatore, e che anche quello strumento fu approvato per consentire un maggiore controllo del territorio, che si apprestava ad essere interessato da molte opere di valenza regionale e nazionale. Lotti richiama anche l'attenzione sulla strana coincidenza con la quale alcuni giornali iniziarono una campagna mediatica fondata sulle chiacchiere di paese, che parve fosse creata apposta per sollevare un polverone, che da lì a poco si concretizzò nella notizia dell'inchiesta. Da qui il rapporto critico con l'informazione, per il suo ruolo fin dall'inizio colpevolista nei confronti del Comune, con titoli tendenti anche espliciti verso una urbanistica piegata ad interessi privati. Lotti mette anche l'accento sulle conseguenze negative che successivamente accaddero, e che non riguardavano solo lui stesso e la sua famiglia, ma anche un vero e proprio blackout delle politiche territoriali, per i timori legati ad inchieste in essere o in divenire, e che hanno penalizzato per anni i cittadini ed il territorio. Fa anche rilevare come l'Amministrazione avrebbe avuto bisogno di una politica più forte e non litigiosa.

Paolo Cocchi inizia il suo intervento da par suo, cioè con la citazione filosofica del Paradosso di Zenone, per dimostrare come azioni che dovrebbero servire per migliorare la situazione abbiano in realtà effetti deteriori, anche in politica. La fame di Giustizia produce ingiustizia. La fame di notizie produce disinformazione. Per anni si è fatto credere ad un intera comunità l'esistenza di una tendenza criminale delle Amministrazioni e della politica che in realtà non esisteva, si è infangata quella stessa comunità, non solo i soggetti indagati. Cocchi critica anche il sistema informativo, che preferisce usare dei cliché, anziché indagare a fondo, e salva solo, con nome e cognome, un solo giornalista: Leonardo Romagnoli, per aver usato metodi diversi. La valutazione di Cocchi è critica anche per la "nuova politica" che vede nel nuovismo e nella rottura con il passato la volontà di smarcarsi dal corso della Storia. Ma, rileva Cocchi, il nuovismo ha distrutto quel che restava dei partiti, che discutendo limitavano il trasformismo fine a se stesso. Il suo "pessimismo cosmico" arriva a dire che non riesce ad identificare soluzioni positive per l'Italia, e che forse solo un cataclisma sociale potrebbe far rinascere la forza e la determinazione comune per un Paese migliore.

Paolo Ermini, Direttore del Corriere di Firenze, sottolinea come vi siano diritti umani inalienabili, e che nessuna Giustizia possa avvilire il valore delle persone. La pena non cancella la dignità dell'Uomo. C'è un rapporto malato tra giustizia e politica. La vicenda di Barberino si inscrive nel fenomeno ben conosciuto del giustizialismo, che vede l'avviso di garanzia come una condanna definitiva. Respinge con forza questa interpretazione, dicendo chiaramente che non ci si dovrebbe dimettere per un avviso di garanzia, altrimenti ci si consegna alla Magistratrura, che può essere buona, ma anche a volte, meno buona. Dopo aver sottolineato buona parte delle valutazioni di Cocchi, Ermini trova però anche il modo di dichiararsi non d'accordo con lui in merito al suo pessimismo, e per questo spezza una lancia nei confronti del Presidente del Consiglio, perché ha, in merito, effettuato una rottura di questo meccanismo che determinava le dimissioni: da oggi non sarà più così. Ricorda anche come nel nostro paese, proveniente da una tradizione di sinistra, abbia poi vinto quella visione forcaiola così efficacemente rappresentata dalla candidatura di Antonio Di Pietro, il primo giustizialista, lo definisce. Il concetto, dice ancora Ermini, che oggi prevale è quello della distruzione dell'avversario politico. Una volta invece la politica si scontrava anche rudemente, ma sempre sapendo che al di sopra c'era un interesse  e un'idea comune. Conclude affermando di capire l'amarezza di chi critica le assenze, ma più che criticare, occorrerebbe comprendere ed aiutare una politica che oggi ha paura, si sente non più credibile, per ritrovare il suo ruolo.

La conclusione di Paolo Cocchi è una veemente difesa della Prima Repubblica, in disaccordo con Ermini che ne rileva gli errori e le miopie, perché, dice Cocchi, la sua storia si dipana dal 1945 fino al 2000, e valutare tutto questo lungo tempo solo in base ad una sua degenerazione dell'ultimo periodo, è un errore. Bisogna chiedersi perché l'Italia è diventata questa. Leopardi e Manzoni potrebbero esserci più utili a capirlo di quanto può fare oggi Renzi. E qui Cocchi propone una sua lettura: la guerra fredda ed il Muro di Berlino ci misero nelle condizioni di rimanere nelle nostre rispettive posizioni ben definite e immutabili, dettate da esigenze più alte. Finita la prima e crollato il secondo, gli italiani sono ritornati ai loro peggiori istinti. Oggi non si possono ricostruire i partiti di 50 anni fa: lo spazio intermedio delle riunioni era già finito all'inizio degli anni '80. Oggi ci sono nuovi media, nuovi sistemi di comunicazione, un'altra società. Ma abbiamo fatto un errore che neussun altro Paese nel mondo ha fatto: abbiamo desertificato le sue culture politiche. Le tradizioni politiche di riferimento: comunista, socialista e democristiana sono state abbandonate come rifiuti del passato. Al punto che oggi è un prerequisito essenziale il dichiarare di non avere una cultura politica. E' questo vuoto, che nessuno si sognerebbe di rivendicare in altri paesi, che continua ad espandere la nostra impreparazione ad una politica seria e consapevole, non fatta di annunci estemporanei, ma frutto di precise interpretazioni e costruzioni della società. Paolo Menchetti

  

 

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