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Al mugellano Confortini il premio 'Ponte Vecchio'

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Al mugellano Confortini il premio 'Ponte Vecchio' Al mugellano Confortini il premio 'Ponte Vecchio' © n.c.
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Il premio 'Ponte Vecchio' a Bruno Confortini. Veniamo a conoscenza e ne siamo molto felici anche per l’amicizia e il rispetto che ci lega all’amico Bruno Confortini da molti anni, ieri pomeriggio presso la “Sala Firenze” del Grand Hotel Adriatico in via Maso Finiguerra a Firenze, si è svolta la premiazione del primo premio di letteratura "Ponte Vecchio" organizzato dall'Associazione Poetikanten, dalle riviste di letteratura Euterpe e Deliri Progressivi, in collaborazione con la Libreria Nardini Booksotore di Firenze, il cui ricavato è andato a sostegno della Fondazione "Io aiuto il Meyer". In concorso tre sezioni (Poesia, Racconto breve e Saggio). Bruno Confortini ha partecipato con altri 150 autori provenienti da tutta Italia, alla sezione "Racconto breve" ottenendo il terzo premio assoluto con il racconto "Sarebbe bello, sarebbe estate"; è il 37° premio che scrittore. Queste le motivazione della giuria: "L'autore rincorre l'essenza di un amore perduto e non si arrende alla sua fine, spingendosi con il pensiero in oniriche possibilità. Riluttante a esprimere a parole la sofferenza latente e continua dell'abbandono l'autore trova strade alternative per definire l'amore disperato per la donna amata, una donna volitiva, ma intelligente e libera, che non si fa dimenticare. Stile pulito, lineare, che sa emozionare". Dei vari testi, vincitori e segnalati, è stata edita un'antologia per l'edizioni Poetikanten. Certi di far felici i tanti estimatori di Bruno Confortini ecco i sei brevi saggi dello scrittore mugellano, che gli sono valsi il Terzo Premio. Complimenti. (Aldo Giovannini)

“Sarebbe bello, sarebbe estate” pesce Un pesce di legno appeso al muro del salotto. E’ tutto quello che mi resta di te. Ci penso, mentre il treno lascia la città e incontra il fiume. _____   inevitabile   Era marzo. Finalmente un giorno di sole. Lo passammo al mare, come ci piaceva fare appena l’aria si riscaldava un po’ là fuori. Sulla nostra spiaggia, fra la pineta e la darsena ricoperta di legni d’ogni tipo, vomitati lì dalle mareggiate di quei giorni. Di alcuni ti innamorasti subito. Lo facevi con le cose e con le persone. “Dai, aiutami … prendi quelle buste, quelle là …. si quelle … non importa se son rotte e sporche, dai … mettiamoli dentro. Sono troppo belli!” Mario, il padrone della nostra trattoria in darsena, ci guardò perplesso quando entrammo con le buste piene di legni e sabbia. Te ne accorgesti e lo aggredisti. Facevi così con le persone che ti si mostravano ostili, anche solo vagamente. I tuoi occhi avevano un guizzo particolare in quei momenti. “Che c’è Mario, qualcosa non va?” dicesti sfidandolo con lo sguardo. “No, no … niente Sara” , rispose lui come un padre paziente. Ti conosceva da anni. Il fritto di pesce, la sua specialità, come sempre fu ottimo. A casa ti mettesti subito al lavoro. C’erano solo quei legni. “Un pesce, sì … però un insetto anche … un grande e buffo insetto” lo definisti. Il muso allungato, le pinne esagerate, le linee del pennarello che seguivano le linee sinuose del legno. Mi piacque subito. Colpiva un piccolo pezzo di stoffa rossa che avevi fissato con un invisibile chiodo esattamente al centro della figura. Aveva la forma del simbolo dell’infinito. Un particolare bizzarro, apparentemente fuori contesto e invece inevitabile, necessario. Completava alla perfezione quella strana figura. E ti rappresentava. Parlava di te. sguardo Ero seduto in poltrona. Tu andavi avanti e indietro con regolarità, senza apparente fretta. Dalla porta semi aperta ti guardavo caricare sulla vecchia renault amaranto prima le valigie, poi gli scatoloni di libri, lo stereo e infine le tue riviste. Quando non ci fu più niente da portare via tornasti indietro e ti affacciasti alla porta. L’ultimo sguardo non fu per me. Fu per il pesce appeso sopra il divano. Ti guardavo, e dentro di me pensavo solo che non dovevi portarmi via anche quello, che non dovevi farlo, non potevi farlo. Fu un niente, ma lunghissimo. Poi te ne andasti, senza neanche chiudere la porta. _____ piedi nudi A volte immagino la tua vita. So che hai aperto una galleria d’arte nella tua città. L’ho letto sul giornale, hai ospitato la mostra di un grande fotografo americano, uno famoso. Arcobaleno si chiama la galleria. Un nome naif. Fa pensare ai tanti colori, alle tante possibilità. E’ un nome positivo, attraente. Con chi stai? C’è solo la galleria nella tua vita o c’è altro? Me lo chiedo, ogni tanto. Spesso ti rivedo mentre ti pizzichi il lobo dell’orecchio sinistro, o parli da sola davanti allo specchio del bagno, o sali sulla vecchia renault facendoti spazio fra le riviste e i cd sparsi dappertutto, o mentre ascolti i Dire Straits e balli a piedi nudi in salotto. Odi ancora l’insalata? Pensi ancora che “il Canada è il posto dove vorrei stare” e che “Picasso è il più grande artista di ogni tempo!”? Domande senza risposte. Anche se quello strano pesce appeso sopra il divano mi parla di te. Ogni sera. _____ il luogo giusto Il treno sta arrivando in stazione. Una riunione inutile mi aspetta. Dovrò dire qualcosa. Il mio intervento è in scaletta. Non mi sono preparato, ma me la caverò. L’improvvisazione e la brillantezza d’esposizione sono le mie armi migliori. Devo a loro la carriera che ho fatto. Con te non hanno funzionato. Sparavano a salve con te. Sparivano con te. Il sole che eri le offuscava. Ma a me andava bene così. Mi svegliavo e tu c’eri. Bastava questo. Eri quello strano pesce appeso al muro. Eri quel pezzo di stoffa fuori contesto eppure inevitabile, necessario. Accadevi. Come accadono il tempo e le stagioni. Andava bene così. E’ andata bene così, per un po’. Poi tu hai voluto altro, ma io non ero quella persona. Semplicemente questo. I rapporti sono così. Vanno sempre dove vogliono. E dove vanno è sempre il luogo giusto. E’ esattamente lì che erano diretti, e da nessun altra parte. E non conta nulla parlare, non contano gli abbracci che sembrano per sempre, non contano le due di notte a piangere e a fare all’amore, non contano le rabbie e i sorrisi, non contano niente di niente. _____ estate La riunione è iniziata. Il mio intervento è previsto fra un’ora. Scarabocchi sulla moleskine. Piove. Dalle vetrate del salone la città è una macchia grigia, indistinta. Fisso un punto lontano, indefinito, fin dove arriva lo sguardo. Vedo te e me distesi su un prato. Le teste all’insù, diamo nomi alle nuvole che passano veloci sopra di noi. Ce li inventiamo strani, più strani possibili quei nomi. Tu sei più brava di me, hai più fantasia. Non l’abbiamo mai fatto. Sarebbe bello accadesse. Sarebbe bello, sarebbe estate.
  Nella foto (in alto): Bruno Confortini al centro fra Giuliano Paladini a sinistra (Presidente dell’Assciazione dalle “terre di Giotto e dell’Angelico”) e Roberto Izzo ( Sindaco di Vicchio di Mugello), durante una manifestazione letteraria alla Casa di Giotto. Qui sopra lo scrittore, giornalista e storico Bruno Confortini (Foto A. Giovannini)

 

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